mercoledì 28 settembre 2011

Sacrificio o vocazione?

Data la crisi, un numero sempre più crescente di neouniversitari opta per facoltà "spendibili", facoltà cioè capaci di garantire un lavoro nell'immediato futuro (medicina, economia, giurisprudenza). Attratti dal miraggio del "poi avrò il mio studio e il mio lavoro", questi studenti abdicano a ciò che vorrebbero fare veramente in nome della sicurezza lavorativa-economica. Io sono della scuola di pensiero opposta. Meglio studiare ciò che ti piace che poi per adattarti a un lavoro si fa sempre ora. La mia facoltà non era di quelle che al solo pronunciarla suscita rispetto, ammirazione e timore tipo ingegneria o similari. Anzi, quando dicevo all'estraneo curioso di turno che studiavo Lingue e Culture per l'Editoria, rimaneva un attimo muto, distogliendo lo sguardo deluso. Poi mi guardava e con fare ipocrita se ne usciva con "bhe una scelta un po' inusuale, ma se a te piace", frase seguita regolarmente da un risolino isterico. Certo che va bene a me gioia, se no non ci investivo tre anni della mia vita. Non capisco perchè uno dovrebbe sacrificare i propri sogni sull'altare dell'occupazione stabile, investendo in un futuro lontano (i dottori non lo diventano a 23 anni, come non si diventa avvocati a 25), guastando il presente. Il presente me lo voglio vivere bene, voglio vivermi bene l'oggi, che al domani ci penserò domani quando aprirò gli occhi. Ieri è storia, domani è un mistero, ma oggi è un dono, per questo si chiama presente, no? Ne sono arciconvinto. Se ne sente di gente per i corridoi dell'università dire "che palle sta facoltà, ma quando mai l'ho cominciata? perchè non sono andata/o a fare Lettere..." E cosa aspetti bel gioioso a tirarti via o chiedere il trasferimento? Che poi quello che mi chiedo è: se fai economia per avere un lavoro sicuro tra 15 anni e già ora sentir parlare di aziende e contratti, partita iva e fatture ti viene la nausea, non pensi che farli per il resto della vita sia un sacrificio logorante? È una conseguenza logica, penso io. E poi la gente è sempre più incazzata, maleducata, infelice. E te lo credo bene. Stai in ufficio otto ore al giorno, con le chiappe incollate a una sedia, a fare un lavoro che ti nausea. Non mi stupisco che l'infelicità imperi, anzi, mi stupirei del contrario. Poi, per carità, ci sono anche casi virtuosi in cui l'antipatia inziale si trasforma in passione perchè si scopre il lato bello della disciplina. Non lo metto in dubbio. Ma quanti di questi casi se ne vedono in giro? Moooooooooolto pochi. In più gli studenti sono condizionati dai vecchi stereotipi del maschio e della femmina. Il maschio già alle superiori dovrebbe fare robe tipo il chimico, il meccanico, l'informatico, mentre la femmina dovrebbe fare la maestra, l'insegnante e bla bla bla. I derelitti che passano nel campo avverso sono vittime dei pregiudizi: il maschio che fa il liceo classico è gay o poco ci manca, la femmina che fa informatica è un maschiaccio o ha lampanti tendenze lesbiche. Ecco, io ora dico basta a tutte ste magagnate infami. Se uno vuole fare una roba non propriamente da maschi, che male c'è? Se una vuole fare una roba non propriamente da femmine, dov'è lo scandalo? Quando si è felici dov'è il problema???? Da nessuna parte! Solo che si fa più bella figura a dire che si è fatto fatica, che la scuola scelta era una scuola di m***a. E via con gli incazzamenti e le denigrazioni gratuite. Sono della scuola di pensriero avversa anche in questa situazione. Non sono mai stato uno di quelli che alle medie sapevano già cosa avrebbero fatto alle superiori e all'università. Ho scelto una cosa alla volta. Il liceo l'ho scelto una settimana prima della chiusura delle iscrizioni. E mi sono scelto un bel liceo linguistico con tre lingue più il latino e tornassi indietro mi rifarei tutti e cinque gli anni. Stesso discorso per l'università. Ho scelto la mia facoltà relativamente tardi, a metà settembre mi sono immatricolato, al primo di ottobre cominciavano i corsi. Sono stati tre anni stupendi, intensi, divertenti, ho riso e sperimentato un sacco. Ho imparato più di quello che avrei mai creduto. La mia facoltà, pur tra alti e bassi, casini burocratici ecc, l'ho amata moltissimo. Potessi rivivere i tre anni appena conclusi, lo rifarei subito. La gente invece ogni volta che dico che mi sono divertito e che sono stato felicissimo della mia scelta ci rimane di stucco, spiazzata, perchè si aspetta che mi lamenti e sbuffi, che dica "meno male che è finita, non ne potevo più, un'università del pippolo". No, io non lo dico. Perchè fin'ora ho sempre scelto quello che mi piaceva, in barba agli stereotipi del maschio, di quello che avrebbe detto la gente e gli amici. Io voglio essere felice della mia vita e non avere rimorsi, né i "se avessi fatto..." nella mia saccoccia di esperienze. La vita è una e me la voglio godere. Niente sacrifici, solo scelte per vocazione!

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